Dopo i dei recenti fallimenti di alto profilo che hanno coinvolto il produttore di ricambi auto First Brands Tricolor e Primalend, rivenditori di auto usate ed emittenti di sub-prime su autovetture, si è acceso un riflettore anche presso la Banca dei Regolamenti Internazionali (BIS – Bank of International Settlements) il cui allarme si aggiunge a quello di S&P di cui abbiamo dato conto nel nostro Approfondimento del 17 ottobre 2025.
Il rapido crollo delle tre aziende ha scosso i mercati del credito, con alcuni investitori che hanno evidenziato preoccupazioni per le loro complesse strutture di finanziamento ed ha portato a consigliare più scrupolose verifiche dei rating. Le agenzie di rating più piccole hanno conquistato quote di mercato nel mondo in rapida crescita del credito privato fornendo i cosiddetti rating privati, che in genere sono visibili solo all’emittente e a investitori selezionati. Ricordiamo che le compagnie di assicurazione sulla vita statunitensi sono state tra i maggiori acquirenti di questo tipo di debito.
Il numero di titoli assicurativi valutati da Moody’s, S&P e Fitch è rimasto sostanzialmente invariato negli ultimi anni, mentre la quantità valutata dalle compagnie più piccole è cresciuta rapidamente. Questo significa che le assicurazioni hanno allocazioni di debito privato difficili da stimare sia in quantità che qualità. Secondo la BIS, i gruppi più piccoli potrebbero subire pressioni commerciali per assegnare punteggi più favorevoli portando a valutazioni gonfiate del merito creditizio e oscurando il vero rischio di questi asset complessi.
Le compagnie assicurative con legami con gruppi di private equity hanno fatto ampio uso di rating privati. Circa un quarto degli investimenti di queste compagnie assicurative nel 2024 si basava su tali valutazioni.
La mancanza di trasparenza e liquidità dei prestiti privati li rende difficili da valutare accuratamente, aumentando il rischio di svendite forzate che possono amplificare le oscillazioni dei prezzi durante i periodi di stress economico e finanziario.
Al monito della BIS si aggiunge anche la presa di posizione del governatore della Banca d’Inghilterra, Andrew Bailey, che la scorsa settimana ha avvertito che il ruolo delle agenzie di rating meritava un esame più approfondito. Alcuni titoli del debito Tricolor avevano ricevuto rating tripla A mesi prima del crollo dell’azienda.
La National Association of Insurance Commissioners, un organismo di definizione degli standard per le autorità di regolamentazione assicurativa statunitensi, ha pubblicato all’inizio di quest’anno un rapporto in cui ha provato a quantificare la sovrastima del merito creditizio privato: in media 2.7 volte le valutazioni interne delle compagnie. I rating privati sono intrinsecamente meno solidi poiché non sono sottoposti al controllo degli operatori di mercato. Il rapporto della NAIC, che aveva sollevato preoccupazioni sul fatto che le compagnie assicurative potessero optare per rating più permissivi, è stato successivamente rimosso dal sito web della NAIC. Un’analisi di Absolute Strategy Research ha rilevato che le compagnie assicurative sulla vita statunitensi avrebbero bisogno di un capitale aggiuntivo compreso tra 30 e 35 miliardi di dollari per mantenere le proprie garanzie legali, se i rating privati fossero adeguati alle stime della NAIC.
Ma non basta. La vera notizia negativa, secondo la BIS, è che l’affidamento ai rating privati è solo un esempio dei più ampi rischi per la stabilità finanziaria che si stanno accumulando nel settore delle assicurazioni sulla vita.
In un recente documento la BIS descrive anche la più ampia spinta delle compagnie assicurative verso investimenti più rischiosi e complessi, l’aumento dei rischi di liquidità per le compagnie con elevate esposizioni al dollaro USA e il potenziale di conflitti di interesse nelle compagnie assicurative che hanno legami con società di private equity. La crescente partecipazione del private equity nel settore assicurativo, attraverso acquisizioni dirette di compagnie assicurative o la gestione dei loro attivi, potrebbe aver sollevato “vulnerabilità sistemiche” nel settore.
Le compagnie assicurative affiliate a gestori di investimenti alternativi investono circa il 24% dei loro portafogli in credito privato, nonché in asset più rischiosi e complessi, rispetto al 6% delle compagnie assicurative non affiliate.
La crescente domanda di prodotti a reddito fisso privati da parte degli investitori ha alimentato la concorrenza tra gli istituti di credito per offrire prestiti interessanti e confezionarli in varie forme di titoli. Questo, a sua volta, consente ad aziende e consumatori di ogni tipo di ottenere prestiti a condizioni generose e sta contribuendo a far tornare il fervore delle acquisizioni.
Questo mese, il FMI ha avvertito che le banche statunitensi ed europee potrebbero essere destabilizzate dalla loro esposizione di 4,5 trilioni di dollari a gruppi finanziari non bancari, anche note con l’infausto termine di “banche ombra”. Ha chiesto una maggiore regolamentazione del credito privato, del private equity e degli hedge fund, che stanno trainando gran parte del boom dei prestiti.
Ma l’amministrazione americana va in una direzione esattamente opposta promuovendo la deregolamentazione delle banche piuttosto che l’imposizione di ulteriori restrizioni ai concorrenti non bancari. La scorsa settimana, la Federal Reserve ha annunciato l’intenzione di rivedere i suoi stress test bancari annuali per renderli meno onerosi. Secondo i consulenti Alvarez & Marsal, si prevede che le autorità di controllo del settore bancario statunitense apportino ulteriori modifiche alle norme sul capitale e sulla leva finanziaria, che potrebbero sbloccare 2,6 trilioni di dollari di capacità di prestito aggiuntiva.
Le banche ora prestano denaro al capitale privato, che utilizza i fondi per fare leva sul denaro degli investitori, erogando prestiti e acquistando titoli di debito cartolarizzati. Si può scommettere che ai flussi bancari si aggiungeranno anche quelli retail che possono essere convogliati verso il debito privato grazie all’allentamento dei vincoli concessi dall’amministrazione americana a favore (ma riteniamo sia più corretto dire “a sfavore”) degli investitori al dettaglio che ora possono convogliare il proprio denaro verso gli alternativi, a lungo riservati alle istituzioni e UHNWI. Ed è qui che iniziano i mal di testa. Come spesso accade il “gregge” degli investitori al dettaglio entrano nella fase finale di una bolla per fornire la liquidità necessaria a liquidare chi ha proficuamente cavalcato questo mercato: se no è nei fatti uno schema Ponzi questo?
D’altro canto un modello, mutuato dal mondo del private equity, dove un fondo chiuso concede prestiti a più società nell’arco di un ciclo pluriennale – era e continua ad essere attraente sia per i mutuatari che per gli investitori.
Privati del loro rendimento costante del 6% sui prestiti societari investment grade da un paio di lustri di interessi irrisori, gli investitori obbligazionari ed in particolare coloro che ragionano su orizzonti temporali molto lunghi (decenni invece che trimestri) come i family office, fondi sovrani e pensionistici e compagnie assicurative la promessa di rendimenti a due cifre in cambio di quello che calcolavano essere solo marginalmente più rischioso (complici dei rating forse fraudolentemente gonfiati) era troppo allettante per rifiutare.
Allo stesso tempo, le aziende – spesso di medie dimensioni che faticavano a convincere le banche post-crisi sub-prime – si sono improvvisamente trovate di fronte a un’altra via per reperire capitali con procedure enormemente più semplici ottenendo credito da un unico soggetto piuttosto che cimentarsi in emissioni pubbliche.
È una situazione tremendamente simile a quella pre-2008 che fa temere un infausto “bis” della crisi finanziaria più dannosa del nuovo millennio. Ovviamente non siamo i soli a pensarlo: siamo in ottima compagnia. Il presidente di UBS ha recentemente dichiarato a margine di un convegno che il settore assicurativo, soprattutto negli Stati Uniti, si sta impegnando in un “arbitraggio di rating” simile a quello che banche e altre istituzioni hanno fatto con i prestiti subprime prima della crisi finanziaria del 2008.
E come prima della crisi del 2008 dove chi osava sollevare e criticare gli investimenti sub-prime veniva aggredito o deriso, si affastellano già le ridda di chi difende il settore dei crediti privati e i suoi attori. Da chi accusa i vertici dell’investment bank globale detentore di avere un interesse commerciale nel vedere il loro nuovo concorrente fallire ai dirigenti dei più grossi “istituti ombra” Apollo, Blackstone e Ares che auditi dalla la Commissione per la regolamentazione dei servizi finanziari della Camera dei Lord sul rischio sistemico che le loro attività rappresentavano per l’economia in generale – e incalzati sull’opportunità di allineare la regolamentazione a quella delle banche tradizionali – si sono lanciati in difesa della loro vocazione ovvero la protezione nei confronti della “corsa al ritiro” tipico del sistema bancario che lo rende più vulnerabile al cosiddetto contagio. Le “banche ombra” invece, con i loro cicli di otto anni e le relazioni bilaterali, sarebbero resistenti a tali shock, anzi fungono da importante baluardo per il rapporto spesso instabile tra clienti e banche.
Totò cantava: Miss mia dolce miss, io voglio il bis e tu sai già di che
ma noi preferiamo ridere della performance del noto artista e speriamo che non si tratti di Miss GFC (la signora Crisi Finanziaria Globale).
Disclaimer
Il presente post esprime l’opinione personale dei collaboratori di Custodia Wealth Management che lo hanno redatto. Non si tratta di consigli o raccomandazioni di investimento, di consulenza personalizzata e non deve essere considerato come invito a svolgere transazioni su strumenti finanziari.