Abbiamo sentito da più parti che il bitcoin viene considerato “oro digitale”. Questa interpretazione ha in effetti più di un fondamento, come abbiamo argomentato del nostro approfondimento del 9 maggio 2025, anche se ovviamente presta il fianco o opinioni critiche e contrastanti. Ma oggi c’è una novità: il fondatore di Tether, invece di considerare il bitcoin una forma di oro digitale, preferisce considerare l’oro una forma di “bitcoin naturale”. Al di là del gioco di parole concentriamoci di più sui fatti e quindi sui numeri.
Tether – ormai divenuto con il Genius Act un emittente di moneta (in dollaro americano, per la precisione) autorizzato – vuole diversificare le sue riserve allocandone una parte in oro fisico. Ci aveva già provato con il token Tether Gold (XAUt) lanciato nel 2020 equivalente ad una oncia troy, divisibile fino a 0.00001 dollari. Tuttavia – come il suo concorrente Pax Gold (PAXG) lanciato da Paxos un anno prima – non ha riscosso successo con una capitalizzazione inferiore al miliardo di dollari.
Ma ci sono alcuni numeri che fanno capire come Tether sia chiaramente indirizzata verso investimenti massicci in oro. Prima di tutto le riserve in lingotti d’oro depositate a Zurigo ammontano a quasi 9 miliardi di dollari quando la capitalizzazione di XAUt è inferiore al miliardo. Questo significa che il gruppo sta costituendo riserve complessive del metallo giallo. Ma poi c’è l’investimento nelle miniere, non attraverso le azioni delle società di estrazione, ma attraverso la royalties investendo, per il momento, in quote di minoranza di Elemental Altus, quotata a Toronto ed in procinto di fondersi con la rivale EMX; stiamo parlando di piccole cifre (circa 100 milioni) se rapportate agli utili miliardari di Tether nel primo semestre di quest’anno.
L’altro evento che fa presagire rialzi ancora significativi dell’oro giallo è la tokenizzazione del prezioso (ovvero lingotti superiori al kilogrammo, perché le monete sono già sufficientemente parcellizzate) che consentirebbe di vendere un intero lingotto a pezzettini, ma soprattutto di offrire l’oro in garanzia anche per la marginazione dei derivati. Ci hanno provato in tanti a tokenizzare l’oro, ma ora il progetto viene concepito e portato avanti dal World Gold Council (WGC) un consorzio che rappresenta l’industria mineraria che vuole partire dal mercato più grande al mondo: Londra.
Il mercato all’ingrosso dell’oro “Loco London” è il più grande circuito mondiale per il commercio fisico, sostenuto dalle vaste riserve delle principali banche commerciali internazionali e dalla capacità di deposito della Banca d’Inghilterra. Le transazioni vengono condotte “over the counter” (OTC), ovvero direttamente tra le parti anziché tramite una stanza di compensazione centrale.
Esistono due tipi di transazioni su questo mercato: quelle per l’oro “allocato”, che riguardano uno specifico lingotto d’oro, e quelle per l’oro “non allocato”, che comportano la richiesta di una quantità d’oro senza specificare il lingotto. Secondo la proposta del WGC si creerebbe un terzo tipo di transazione per l’oro OTC a Londra. Il progetto partirebbe da una fase pilota che vedrebbe la partecipazione di importanti banche e società di trading come comproprietari dell’oro sottostante.
La London Bullion Market Association (LBMA) ha lanciato a gennaio di quest’anno una nuova (permissioned) blockchain cuore del programma Gold Bar Integrity per tracciare ogni nuovo lingotto che esca da raffinerie. Questo consentirebbe di certificare la “nascita” di ogni nuovo lingotto fornendogli una identità digitale non contraffabile. Come per ogni passaggio dal mondo fisico a quello digitale attraverso la tokenizzazione anche questo rappresenta il punto critico di maggior rischio: una volta scritto un dato falso su una blockchain questo non è più modificabile e deve essere corretto in altri modi. Ma il punto è che diventa difficile certificare senza manipolazioni fraudolente un fenomeno fisico per dargli una vita digitale “autentica”.
Ammesso che questo passaggio si riesca a fare con una accettabile affidabilità ci troveremo in presenza di “monete d’oro” (i token) espressi in forma digitale e quindi facilmente tracciabili e trasferibili (perché sfruttano la tecnologia della blockchain) che dovranno competere con crypto-valute e stablecoin garantite dai più diversi asset (incluso l’oro). E tuttavia se il processo dovesse essere fatto a regola d’arte la tokenizzazione dell’oro fisico rischia di subire la legge di Gresham per cui la moneta cattiva scaccia quella buona (dalla circolazione) relegando quindi i token ad un ruolo di garanzia in forma digitale. Questo ruolo sarebbe comunque – a nostro avviso – sufficiente a dare una nuova e vigorosa spinta al metallo prezioso per eccellenza.
Disclaimer
Il presente post esprime l’opinione personale dei collaboratori di Custodia Wealth Management che lo hanno redatto. Non si tratta di consigli o raccomandazioni di investimento, di consulenza personalizzata e non deve essere considerato come invito a svolgere transazioni su strumenti finanziari.