Mentre le compagnie assicurative statunitensi investono nel credito privato ormai dal 2009, S&P lancia un allarme sui rischi di questa classe di attività che ha conosciuto una rapida crescita aiutata dalla diminuzione dei tassi di interesse. Ma non è solo la dinamica dei tassi ad attirare gli assicuratori, quanto piuttosto il premio di liquidità che questi attivi garantiscono, ritenuto interessante anche quando si sostanzia di una decina di punti base. Premio che peraltro è molto difficile da quantificare.
Il mercato del credito privato ha preso piede dopo la crisi finanziaria del 2008, quando normative più severe hanno costretto le banche a inasprire i propri criteri di concessione dei prestiti. Non stupisce quindi che oggigiorno fornisca prestiti per trilioni di dollari alle aziende; il comparto assicurativo statunitense, che ha più di 8.000 miliardi di dollari di attività investite e gestisce i risparmi pensionistici di milioni di persone, è tra i maggiori investitori per questa classe di attivi.
Ma come si perfeziona l’investimento nel debito privato? S&P stima che 530 miliardi di dollari, pari a circa il 23% delle obbligazioni societarie detenute dalle compagnie di assicurazione sulla vita, siano stati emessi tramite collocamenti privati anziché offerte pubbliche. Di questi, circa 218 miliardi di dollari avevano un rating di credito “private letter”, ovvero punteggi riservati accessibili solo all’emittente e ad alcuni investitori e 71 miliardi di dollari sono collocati attraverso obbligazioni finanziarie strutturate con rating privati. Si tratta dei famosi Colleteralized Loan Obbligation (CLO).
Spendiamo due parole per capire cosa sono. Si tratta sostanzialmente di titoli strutturati che raggruppano un pool di prestiti societari con rating inferiore all’investment grade collocabili e vendibili in tranche. Questi investimenti offrono agli investitori l’opportunità di ottenere rendimenti superiori alla media assumendosi il rischio di insolvenza e di illiquidità. I CLO sono simili ai titoli obbligazionari garantiti da ipoteca (CDO – Collaterilized Debt Obbligation) nella struttura, ma differiscono principalmente perché sono garantiti da prestiti societari anziché da ipoteche. Ciascuna tranche all’interno di un CLO presenta caratteristiche di rischio/rendimento distinte, con le tranche azionarie che offrono rendimenti potenziali più elevati a livelli di rischio più elevati ed hanno ovviamente la seniority più alta ovvero la priorità di rimborso più bassa. Questo complesso strumento finanziario consente quindi agli investitori di diversificare i propri portafogli e potenzialmente mitigare la volatilità del mercato investendo in diverse tranche in base alla propria propensione al rischio. In particolare aiutano gli assicuratori a ridurre il capitale di cui avrebbero bisogno se detenessero direttamente prestiti a società di medie dimensioni e altri prodotti.
Ma veniamo al punto che veramente ci interessa. In un nostro precedente Approfondimento abbiamo sostenuto che ad innescare lo scoppio di una bolla speculativa è quasi sempre debito “cattivo” che genera insolvenze le quali si accumulano a valanga. Era successo con i mutui nel 2008 e questa situazione è una reminiscenza fin troppo analoga, quasi un deja vu! Qui la “pecora nera” non sono i mutui, ma i prestiti al private equity un settore caratterizzato da una totale opacità.
È proprio il timore di un imminente scoppio di una o più bolle che ci fa propendere per l’investimento in oro. Lo abbiamo già detto la scorsa settimana che il rialzo del metallo giallo degli ultimi mesi è in parte determinato da euforia dei retail. E ci viene confermato anche da un articolo del FT del 14 ottobre u.s. che ci racconta di una vera e propria corsa all’oro in Giappone e di vendite al dettaglio della zecca inglese con volumi mai visti prima. Addirittura il monetato “Britannia” composto da una oncia d’argento è andato completamente esaurito: questo significa che chi non si può permettere l’oro punta su un investimento “per le sue tasche” pur di non rimanere fuori da questa corsa.
Tuttavia i motivi alla base di questa euforia sono sempre gli stessi: l’incertezza sul futuro assetto della FED, la paura per il debito statunitense e per la ripresa dell’inflazione. Del resto l’inflazione è notoriamente uno strumento efficacissimo che un governo può usare per ridurre il debito. Noi non discutiamo queste motivazioni, ma ci limitiamo a suggerire un’altra ratio alla base di un investimento in oro e/o metalli preziosi in generale: la probabilità che si inneschi, partendo dagli Stati Uniti, una spirale perniciosa di insolvenze che a sua volta trascini in crisi il settore assicurativo che è tanto delicato quanto quello bancario ed è capace di destabilizzare il sistema tanto quanto, se non peggio, nel 2008 fece l’investment bank a stelle e strisce: “troppo grandi per fallire”, sarebbe utile ricordarlo.
Ci sono già delle avvisaglie: i mercati del credito sono stati scossi dal crollo di First Brands Group e Tricolor Holdings. L’amministratore delegato di Apollo Global Management, Marc Rowan, ha affermato che il crollo delle due attività fa seguito ad anni in cui gli istituti di credito si erano rivolti a mutuatari più rischiosi. JPMorgan Chase ha annunciato solidi utili, rovinati dal crollo di Tricolor che ha causato una perdita di 170 milioni di dollari ed il suo amministratore delegato, Jamie Dimon, ha dichiarato: “La mia antenna si alza quando succedono cose del genere. Probabilmente non dovrei dirlo, ma quando vedi uno scarafaggio probabilmente ce ne sono altri.”
Anche qui una sconcertante reminiscenza con i due fondi di Bear Stearns (era una banca, come lo era Lehman Brothers) imbottiti di subprime per un valore cumulato di circa 3 miliardi di dollari, entrambi falliti nel marzo del 2007.
Speriamo che siano solo reminiscenza, ma questo comparto di investimenti va, a nostro avviso, monitorato attentamente.
Disclaimer
Il presente post esprime l’opinione personale dei collaboratori di Custodia Wealth Management che lo hanno redatto. Non si tratta di consigli o raccomandazioni di investimento, di consulenza personalizzata e non deve essere considerato come invito a svolgere transazioni su strumenti finanziari.