La legge geniale

Il 17 giugno scorso il Senato degli Stati Uniti ha approvato – peraltro con una maggioranza bipartisan – il Genius Act (Guiding and Establishing National Innovation for U.S. Stablecoins Act) ratificato definitivamente dalla Camera dei Rappresentanti lo scorso 17 luglio. Ed ora è legge.

Questa legge traccia il quadro normativo di riferimento per la regolamentazione delle stablecoin (si veda il nostro Approfondimento del 18 marzo scorso) sul mercato americano. Regolamentazione significa in sostanza che le stablecoin potranno essere ufficialmente accettate in pagamento al pari di un bonifico o di una carta di credito. Gli Stati Uniti si aggiungono quindi al Giappone che ha regolamentato il settore nel 2022, Singapore nel 2023, Abu Dhabi nel 2024. L’Inghilterra prende tempo e ci pensa; l’Europa, invece, ha deciso di intraprendere la strada della valuta digitale emessa dalla banca centrale (CBDC – Central Bank Digital Currency) riservando alle stablecoin un regolamento specifico (la MICA), che esclude possano essere accettate come mezzo di pagamento ufficiale.

Le maggiori banche americane si sono pronunciate a favore di questa svolta. Comprensibilmente sotto pressione a causa di iniziative del settore non bancario (es. Uber o Walmart) intenzionato ad emettere stablecoin da adottare per i pagamenti retail, ora possono intraprendere questo nuovo business in un quadro normativo più certo. Anzi JPMorgan ha dichiarato che non vuole solo aprire conti in stablecoin ed usarle come mezzi di pagamento, ma sta pensando anche di utilizzare le cripto-valute dei clienti come garanzia per i prestiti (fatto salvo che deve risolvere il problema del riscatto della garanzia in caso di inadempienza, problema per cui dovrà probabilmente ricorrere alla collaborazione con partner tecnologici).

A noi interessa tuttavia capire un po’ meglio le implicazioni sistemiche di questo quadro normativo. Innanzitutto il Genius Act pone delle condizioni ben precise agli emittenti di stablecoin che – ricordiamolo – sono società private non soggette a regolamentazione come ad esempio una banca. Ora perché una società privata come Circle o Tether possa emettere una stablecoin utilizzabile come mezzo di pagamento ufficiale negli Stati Uniti occorre che abbia un collaterale in rapporto di uno ad uno con il dollaro fiat o con titoli di stato statunitensi (e questo è un aspetto cruciale di tutta la normativa). Questo generale quadro legislativo dovrà essere poi integrato da dettagli pratici, ma già da ora sappiamo che emissioni di stablecoin concesse a qualunque azienda (non necessariamente banche ed intermediari finanziari), incluse quelle riferibili al Presidente, saranno soggette a regolamentazione statale se non eccedenti i dieci miliardi di dollari e alla giurisdizione federale nel caso contrario. Questo significa che si è preparato il terreno per l’emissione di tante stablecoin da parte di tante società e soprattutto – molte di queste – soggette a leggi diverse. Altre due leggi ad essa collegate contribuiscono a creare il quadro normativo di riferimento: il Digital Asset Market Clarity Act che pretende di definire con precisione quali asset devono essere considerati una security e quali no e l’Anti-Central Bank Digital Currency (CBDC) Act di cui parleremo in conclusione.

Anche se i sostenitori di questo corpo regolamentare vedono benefici nella concorrenza che nascerà in seno al mercato dei mezzi di pagamento, capace di ridurre i costi di transazione, i detrattori presagiscono il profilarsi di una situazione caotica, ma soprattutto, la vanificazione della concorrenza qualora dovesse prevalere la legge di Gresham per cui “moneta cattiva scaccia quella buona”. Potrebbe succedere, infatti, che stablecoin con meno di dieci miliardi di capitalizzazione siano garantite da titoli dei singoli stati piuttosto che dai Treasury e che per questo vengano giustamente percepiti come moneta “cattiva” da utilizzare nei pagamenti al contrario di quella buona da usarsi come riserva di valore.

Alcuni economisti fanno notare come questa situazione si palesi in modo non dissimile dalla Free-Banking Era, in scala molto più grande. Questo periodo nella storia degli Stati Uniti durò dal 1837 al 1863: le banche operavano con una minima supervisione federale e potevano emettere le proprie valute garantite dai bond dei singoli stati. Il periodo si concluse con il National Banking Act del 1863, che mirava a stabilire un sistema bancario più regolamentato. La mancanza di regolamentazione, infatti, aveva portato a numerosi fallimenti bancari e a un sistema bancario decentralizzato.

Il punto delicato di questa iniziativa legislativa sta proprio nel fatto che chi vuole emettere stablecoin deve comperare dollari o titoli di stato (Tether da sola ne ha a bilancio più della Germania, per capirci) andando quindi a finanziare il debito a stelle e strisce: per l’erario statunitense il beneficio sarà determinato dal fatto che gli acquisti faranno alzare i prezzi dei titoli e quindi ridurre i tassi. Al contrario qualunque problema potrebbe portare i detentori di una stablecoin a chiedere la conversione in fiat spingendo l’emittente a vendere parte dei titoli di stato a garanzia provocandone l’abbassamento del prezzo (ed il conseguente rialzo dei tassi) andrà a depauperare anche il valore delle riserve degli altri emittenti. Si potrebbe quindi verificare che la corsa alla conversione potrebbe comportare l’esistenza di una massa di moneta in circolazione non adeguatamente garantita dal valore delle riserve degli emittenti montando ondate di panico assolutamente controproducenti e capaci di innescare richieste di conversione a valanga. Lo abbiamo già visto durante la Free-Banking Era quando le cosiddette “wildcat bank” nascevano come funghi (cioè senza autorizzazione, perché non richiesta) emettendo moneta garantita da obbligazioni statali e non federali con la possibilità di emissione al valore nominale delle obbligazioni (ovvero alla pari) anche se il loro valore di mercato era notevolmente inferiore; questo consentiva in caso di mercato depresso delle obbligazioni di ricavare un profitto immediato per banche nate dall’oggi al domani: bastava tuttavia portare all’attenzione del pubblico il deprezzamento delle obbligazioni per scatenare la corsa al rimborso.

Con le stablecoin tuttavia potrebbe essere anche peggio perché l’emissione è consentita anche ad istituti non finanziari che quindi potrebbero perdere credibilità – e con loro le stablecoin che hanno emesso – per mille ragioni legate al loro core business. D’altro canto le stablecoin hanno un mercato secondario molto liquido e quindi non necessariamente i detentori richiederanno la conversione in fiat, ma potranno vendere le stablecoin. Si potrebbe mitigare questo rischio con il dollaro digitale emesso dalla FED come prestatore di ultima istanza (esattamente come per il dollaro fiat) ed eliminando dalle riserve degli emittenti i titoli di stato. Ma questo è esattamente quello che l’amministrazione americana non vuole come è ampiamente dimostrato dal Anti-CBDC Act che impedisce esplicitamente alla FED di emettere il dollaro digitale.

Disclaimer
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